Secondo il Codice della crisi d’impresa la composizione negoziata rappresenta il canale preferenziale mediante il quale l’imprenditore in crisi affronta lo squilibrio evitando così la liquidazione giudiziale.
Per incentivare tale strumento sono state previste varie forme di facilitazione e semplificazione tra cui una piattaforma telematica dedicata, misure protettive, misure premiali e una vasta gamma di soluzioni alternative percorribili quali esiti della composizione.
Eppure, lo strumento non parte; i dati trimestrali di Unioncamere dimostrano che la procedura, fin dall’avvio nel novembre 2022, non è gradita; gli imprenditori in situazione di squilibrio rinunciano a tali vantaggi e scelgono altre strade come i piani attestati di risanamento. Per quale motivo?
Le ragioni sono sostanzialmente imputabili al fatto che la procedura negoziata è condotta da un esperto nominato da una apposita commissione o dal segretario della camera di commercio. Tale professionista è un estraneo rispetto all’imprenditore (ed anzi deve dimostrarne la totale indipendenza).
Questo è il vulnus della norma. Ben difficilmente un imprenditore in difficoltà, tipicamente restio a rivelare tale aspetto anche solo ai propri familiari o ai propri consulenti di fiducia, sceglierà di rivolgersi ad un professionista estraneo a cui confessare le proprie difficoltà e colpe.
La fiducia non si istituisce per decreto e la risoluzione delle situazioni di crisi implica una relazione che va al di là della stretta competenza professionale che l’esperto nominato si presume abbia.